mercoledì 18 aprile 2012

L'altra faccia del precariato.

Vorrei dire ai miei desideri di non piangere, invece se ne stanno lì mogi ed indefiniti mentre io vivo questa realtà tanto arida. Perché arida è la parola che più le si addice. L’Italia è un paese alla rovina. Non mi dilungherò nel ricordare che ancora si muovono in questo nostro paese solo personaggi scaltri e senza scrupoli; corrotti e mafiosi; pare insito nel nostro Dna questo modo di essere italiano, questo modo di essere identificato nella triade “mafia,spaghetti e mandolino”.


Non mi dilungherò a parlare di questo perché questo è quello che siamo stati sempre, anche nella storia, fatta eccezione forse per i romani.

Vorrei parlare, però, di cosa prova una giovane come me che vive una realtà come questa.

Io sono tra i pochi fortunati ad avere un contratto a tempo indeterminato. Ci sono arrivata dopo la consueta gavetta di stage e contratto a termine di 3 anni. Totale anni di lavoro: quasi 5. Stipendio attuale: 23,000 euro circa. Netto mensile: 1270. Sono tra i pochi oggi che ce l’hanno, tra i pochissimi.

“Non mi lamento” non posso dirlo perché invece voglio lamentarmi. Sono contenta di avere un lavoro, ho potuto comprare una casa, grazie ovviamente all’aiuto dei miei genitori che mi hanno dato l’anticipo e che mensilmente mi aiutano con una piccola percentuale di mutuo. 750 di mutuo con 1270 di stipendio sarebbe stato impossibile da sola.

Per fare una vita dignitosa per forza di cose 200 euro me li devono passare i miei. Quindi io pago 550. Quindi al netto vivo, extra mutuo, con 700 euro con cui pago spese condomino, bollette e tutto ciò che è extra. La macchina non ce l’ho, uso quella di mamma quando serve. Non me la posso permettere una macchina perché va da sé che nelle 700 Euro non ci rientra. Quindi, ecco, vivo con 700 euro e solo perché ho ancora mamma e papà che mi aiutano e parché la spesa la faccio con i ticket restaurant che l'azienda mi dà per il pranzo. No, non posso lamentarmi perché ho 29 anni e molti dei miei coetanei non hanno una lavoro e agguanterebbero volentieri anche 1000 euro nette. E io non voglio fare l’ingrata. No, niente ingratitudine. Però un occhio critico credo vada mantenuto e quindi credo di poter parlare anche io e non solo per me – tra i pochi miracolati con un contratto a tempo indeterminato in Italia -, ma anche per la mia amica pluri-laureata che oggi lavora in nero come copy-writer e di euro ne prende solo 600. Non posso lamentarmi in confronto a lei ma io e lei siamo due facce diverse del precariato che attanaglia il nostro paese. Io sono tra i fortunati. Ovvio, sono molto più fortunata rispetto a lei ma ho quasi 30 anni e vado avanti solo perché ci sono mamma e papà. Senza di loro non avrei la casa, probabilmente non mi sarei potuta permettere neppure un affitto quindi figuriamoci un mutuo. Se non ci fossero i miei non avrei una macchina.

Lavoro in una grande azienda. I miei capi sono sempre stati contenti di me. Da quando sono in azienda studio per il conseguimento della laurea specialistica. In pratica ho studiato e lavorato contemporaneamente, è stata questa la “furbata”. Per non dire “l’ammazzata”. Mi laureerò nei prossimi mesi, probabilmente a pieni voti dopo anni di lavoro full-time e studio in parallelo senza, ovviamente, alcun aiuto da parte dell’università né da parte dei professori che, ahimè, sono sempre così lontani dalla realtà che c’è fuori le mura accademiche. Ma ho imparato a contare molto su di me e sono comunque riuscita con successo. Per dare un senso alla mia laurea, ho trovato il modo di fare una tesi inerente l’attività lavorativa che sto svolgendo. Una tesi sperimentale. Nessuno aveva mai trattato l’argomento dal punto di vista dal quale lo sto trattando io. Perdonatemi se mantengo un certo riservo ma per ovvi motivi preferisco rimanere anonima.

Comunque una bella tesi che prende spunto dall’attività lavorativa che faccio e che oltre ad esserne uno spunto ne è anche un’osservazione. Ma i miei capi non hanno manifestato un grande interesse, almeno sino ad oggi.

Credetemi, non che io abbia fatto questo lavoro per avere un “contentino” o un “brava” dai miei capi. L’intento - sempre perché penso a lungo termine - è stato farlo per avere una cosa in più sul Cv. Le soddisfazioni già me le sto prendendo e se sarà veramente un buon lavoro, sarà anche l’università a riconoscermelo. Non riesco a capire però perché la mia azienda, ed in particolare i miei capi, non si siano interessati al contenuto di questo lavoro. Credo che la motivazione sia molto più semplice di quel che si possa ipotizzare: c’è poco interesse per le iniziative dei giovani. Ciò, non nego, ha aggiunto altra insoddisfazione a quella che già in me è latente (o forse neanche troppo latente). La sensazione che ho è che l’Italia, e la mia azienda non è che un esempio, non sia una paese per giovani. Né per giovani come me, che hanno un contratto a tempo indeterminato né per giovani come la mia amica, brillante e pluri-laureata, oggi lavoratrice in nero. Lo spazio non c’è perché in questo paese per aver notorietà devi diventare una cariatide, devi farti un nome, devi essere segnalato da qualcuno, sennò non ti guardano, non ti notano, non considerano il tuo valore per quello che è. Ancora oggi, a quasi 30 anni, sento la mia “giovinezza” nell’ambiente lavorativo come un handicap, come un peso piuttosto che un valore aggiunto. “Tu puoi guadagnare poco, tanto sei giovane, non hai famiglia”. “avrai tempo per fare corsi, sei giovane”. Mi chiedo quando smetterò di essere giovane e, soprattutto, mi chiedo cosa succederà quando non sarò più giovane. Forse diventerò vecchia ed obsoleta e non più riciclabile.

Mi viene in mente poi un’altra mia amica che dal 2008 lavora in un’azienda in Gran Bretagna. Mia coetanea. In gambissima. Con gli stessi anni di lavoro è diventata manager. Non voglio paragonarmi a lei e non do per scontato che i nostri potenziali siano i medesimi. È possibilissimo che lei sia molto più brava di me. Ma, a prescindere da ciò, è l’atteggiamento di difetto rispetto alla sua età che lei non ha mai vissuto; nessuno ha mai avuto problemi a dire "brava" a lei piuttosto che ad una meno brava ma più grande di età; nessuno le ha mai detto “questo non lo fai perché sei troppo giovane”. Io e i miei colleghi coetanei non viviamo e non abbiamo vissuto realtà di questo tipo, la nostra è la realtà che si vive negli uffici di un’azienda all’italiana. Anche se noi siamo i fortunati, i pochi che in Italia ce l’hanno fatta ad avere il posto fisso tanto ambito dai nostri genitori.

Come dicevo, a breve il mio percorso di studi sarà terminato, avrò un titolo, una tesi inerente il lavoro che faccio da 5 anni e soprattutto avrò ancora i miei 29 anni. Vorrei agire di astuzia anche stavolta, nel tentativo di anticipare il peggio. La mia indole mi suggerisce di andare altrove e di cercare altro. Ho l’impressione che questo paese sia troppo vecchio e forse troppo obsoleto per me. Ho un lavoro e non dovrei lamentarmi ma credo di essere l’altra faccia del precariato di oggi che è suddivisibile in quelli che non hanno lavoro e quelli che specularmente devono “abbozzare” qualsiasi sia la loro situazione lavorativa solo perché in mano hanno un contratto a tempo indeterminato.

Vorrei dire ai miei desideri di non piangere, alle mie aspirazioni di non assopirsi, alla mia voglia di scoprire di non redimersi ma in cuor mio so che sto mentendo a me stessa perché in Italia non c’è posto per gente come me né come la mia amica che ad oggi fatica ad arrivare a fine mese.

Dite che mi sbaglio? Lo spero proprio.

Egle

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